[MAZZINI, Giuseppe (1805-1872)]. La Giovine Italia. Serie di scritti intorno alla condizione politica, morale, e letteraria della Italia, tendenti alla sua rigenerazione. Marsiglia, Tipografia di Dufort diretta da Giulio Barile, (novembre) 1831.
PRIMA EDIZIONE del manifesto della “Giovine Italia”, che introduce il programma dell’omonimo periodico.
Nel 1831 Mazzini fondò la “Giovine Italia” come società di propaganda per promuovere la sua idea di risorgimento italiano, inteso come movimento politico volto ad ottenere l’indipendenza del paese e il suo rinnovamento spirituale.
Il primo e il secondo numero della rivista apparvero contemporaneamente il 18 marzo del 1832 presso la tipografia Dufort, che era diretta dal nizzardo Giulio Barile. Sulla “Giovine Italia”, oltre al Mazzini, scrissero tutti i maggiori patrioti del tempo, da Vincenzo Gioberti a Filippo Buonarroti, dallo storico svizzero J.C.L.S. de Sismondi a Jacopo Ruffini.
Il periodico fu messo al bando in tutti gli stati italiani. La sua diffusione venne affidata ad una rete clandestina di uomini, che rischiavano l’arresto e la condanna a morte se fossero stati scoperti. L’ultimo numero, il sesto, uscì nel luglio del 1834. La cacciata di Mazzini dalla Francia, le persecuzioni dei rivenditori, la mancanza di fondi ne decretarono la fine.
Giuseppe Mazzini, genovese, intraprese dal 1822 studi di giurisprudenza, per poi passare alle più consone lettere. Egli aderì al romanticismo e fu soprattutto influenzato dall’opera e dalla personalità di Ugo Foscolo.
L’affiliazione alla carboneria gli costò l’esilio nel febbraio del 1831. Gli anni passati in Francia videro la nascita della “Giovine Italia” e il fallimento dei moti del ’33, coordinati da lui e dai suoi seguaci, nelle cui file nel frattempo si era aggiunto anche G. Garibaldi. Mazzini riaprò poi in Svizzera, dove nel1834 pro,osse la “Giovine Europa”, quindi poco dopo in Inghilterra.
Tra il 1843 e il 1844 assisté al fallimento dei tentativi insurrezionali in Romagna e alla tragedia dei fratelli Bandiera, venendo in parte abbandonato e sconfessato dai suoi stessi compagni. Riapparve nel 1848 come triumviro a Roma, dove resisté fino all’ultimo alle forze austriache.
Nel 1849 tornò all’estero, continuando a predicare la rivoluzione e ad organizzare moti di rivolta, finiti ancora una volta tragicamente. Dopo l’unità d’Italia, si adoperò alla sua maniera per ottenere la liberazione di Venezia e di Roma. Egli tuttavia avversò la politica monarchica del nuovo stato e rientrò in patria vivendo clandestinamente con passaporto inglese. Morì a Pisa il 10 marzo del 1872.
Descrizione fisica. Un opuscolo in 8vo di pp. 8.
F. Govi, I classici che hanno fatto l'Italia, Milano, Regnani, 2010