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Alberto Vigevani - Due vicini che s'ignorarono

Data 01/12/2020       Categoria Articoli e pubblicazioni
Autore Admin

Alberto Vigevani - Due vicini che s'ignorarono

Da buono svizzero Ulrico Hoepli, personaggio per tanti versi illuminato, coniugò la natia parsimonia con un raro sentimento del dovere nei riguardi di chi aveva collaborato al suo successo. Diffidente per l’indole spendereccia – oggi si direbbe consumistica – degli italiani, si preoccupò, quando non era uso, di assicurare ai suoi dipendenti i muri di una casa. Ed, eccezionalmente, anche di una seconda. Io, che avevo venduto a troppo buone condizioni la prima copia che mi capito dell’Hypnerotomachia Poliphili, che diede il nome alla mia libreria e poi alla mia casa editrice, al professor Mario Armanni, allora al vertice dell’antiquariato Hoepli, non seppi – fin dopo la sua scomparsa – che il minuto e all’apparenza paterno professore napoletano, tanto somigliante a Brontolo, uno dei Sette Nani di Biancaneve – aspetto che gli favorì, ritengo, parecchi ottimi acquisti – avesse trascorso molta parte delle sue brevi vacanze (al vecchio Hoepli come all’abruzzese Mattioli, il termine ?vacanze? pareva indigeribile) a cinquecento metri dalla mia casa brianzola, in una zona cosparsa di più o meno illustri riferimenti, tradotti in grotteschi iberici nella Cognizione del dolore di Carlo Emilio Gadda, vissuto a Longone (Lugones) al Segrino.
E, non lontano dal confine tra Longone e il mio Eupilio, dimora di Segantini, sorgeva un tempo villa Rosa, proprieta di Armanni.

Ma a parte questa previdenza tutta elvetica, se si pensa alle sofferte disavventure domestiche del professore partenopeo che fece la fortuna economica, nel campo dei libri e dei manoscritti antichi, della Hoepli, vi fu la preveggenza nella sua scelta, compiuta da Hoepli su consiglio di un umanista e bibliografo come Achille Pellizzari. Armanni, nato nel 1878, aveva quarant’anni più di me e due più di mio padre. Mi sto accorgendo, nel tracciare queste memorie, come i librai antiquari non siano ricordati dopo la loro scomparsa, anche se corteggiati assiduamente in vita, forse per la troppa invidia e gelosia che suscita nelle persone colte il loro costante maneggiare libri da essi vanamente concupiti.

Infatti, fino ad oggi (ora non più grazie alla cortesia di Francesco Radaeli, giovane ed affermato collega, nipote delle sorelle Radaeli che furono eccezionali assistenti di Armanni), credevo che il professor Armanni avesse abbandonato le biblioteche pubbliche per ragioni economiche e si fosse messo, iniziando il mestiere, per lui certamente elevata professione, a schedare i libri dell’antiquario napoletano Perrella, che io, non conoscendolo, credevo, per l’assonanza del nome, che fosse Gaspare Casella. A Casella la fama del gran libraio, non so se già al padre o a lui, l’avevano creata Anatole France, autore del famoso romanzo bibliofilico Le crime de Sylvestre Bonnard, e Benedetto Croce, che metteva il naso nei famosi sacchi, prima che venissero aperti al pubblico. Armanni, uomo di profonda cultura – allievo di grecisti come Emidio Martini e Domenico Bassi –, di umanissima sensibilità e inoltre di accortissima diplomazia, venne a completare la struttura della Hoepli, rinnovandone la sezione antiquaria, esemplata fino ad allora su modelli germanici sorpassati, perfezionandola via via che lo rendevano necessario le ragioni del mercato e le sue proprie aspirazioni elitarie. E tuttavia la Hoepli, con la collaborazione di De Marinis o di altri antiquari, aveva acquistato e venduto, in aste o per cataloghi, collezioni famose come la celebre biblioteca Cavalieri, la raccolta di libri figurati veneziani del principe d’Essling (poi Cini), la biblioteca liturgica dei duchi di Parma, la collezione di miniature Fairfax-Murray e la stessa Pellizzari.
Ma la Hoepli, anche attraverso il ?Sabato dei Bibliofili?, si trovò a dover muovere masse di libri provenienti da biblioteche che alcuni ‘battitori’ scovavano in tutta Italia e che, accanto a libri eccelsi, ne contenevano di buoni e di mediocri.

Tra i più attivi agenti che viaggiavano per conto della Hoepli ci fu persino un libraio assai noto che si stabilì a Parigi, Lauria, e uno che modestamente si impiantò a Milano, Moretti. Insieme ad Armanni e alle sue aiutanti, era un parente svizzero degli Hoepli, Erardo Aeschliman, colto gentiluomo, allievo di D’Ancona e di Toesca, che apportò la sua specifica competenza nelle arti figurative. La moglie era una raffinata pianista. Armanni con i suoi collaboratori propagando i valori culturali insiti nell’antiquariato librario presso una borghesia in rapida crescita tra le due guerre, che aspirava ad acquistare una ‘veste’ culturale – dai Cini ai Borletti, dai Feltrinelli ai Vanzetti, ai Marinotti, ai Crespi. In uno stato monarchico, intenzionato a ridar vita ai titoli nobiliari (anche se per motivi di censo, ma i Pirelli e gli Agnelli li rifiutarono), Armanni, con l’appoggio di De Marinis, arrivò a creare uno scaffale, per così dire, di aristocrazia, con tanto di stemmi e titoli acquisiti non sui campi di battaglia, ma su pagine di libri, di cui mi vengono alla mente alcuni nomi, dai Gerli di Villa Gaeta (manoscritti miniati) ai Treccani degli Alfieri (tra l’altro la Bibbia di Borso d’Este). Ma l’araldica non è il mio forte.

Certo, se avessi saputo di averlo per vicino – io che pure inorgogliendomi di non aver avuto alcun maestro nella professione che ho seguito, ne sentivo talora la mancanza – sarei certamente andato a trovarlo, intrecciando una relazione senza dubbio amichevole, parlando di libri e apprendendo da lui i più raffinati segreti del mestiere. E così forse lo avrei distratto, o in qualche modo consolato delle disavventure famigliari che costantemente gli amareggiarono la vita.

Alberto Vigevani
La febbre dei libri
Memorie di un libraio bibliofilo
Sellerio editore - Palermo




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