Classici Italiani
L'arte del taglio e del servizio delle piatenze nei banchetti rinascimentali - 1593

Data 01/12/2020       Categoria Classici Italiani
Autore Admin

L'arte del taglio e del servizio delle piatenze nei banchetti rinascimentali - 1593

CERVIO, Vincenzo (fl. metà XVI sec.)FUSORITTO, Reale (fl. fine XVI sec.). Il TrincianteCon diverse aggiunte fatte dal cavalier Reale, et dall’istesso in questa ultima impressione, aggiuntovi nel fine un breve dialogo detto il Mastro di casa. Roma, Tipografia Gabiana ad istanza di Giulio Burchioni, 1593.

 

PRIMA EDIZIONE, dedicata da Fusoritto al cardinal Montalto, della redazione definitiva del primo grande trattato italiano sull’arte del taglio e del servizio delle pietanze nei banchetti. Trascurabile infatti, sia per dimensioni che per valore, è l’antesignano di questo genere di opere, ossia il Refugio de povero gentiluomo di Giovanni Francesco Colle, che fu stampato a Ferrara nel 1520.

La prima edizione del Cervio uscì a Venezia nel 1581 per le cure editoriali del solito Fusoritto. L’Aggiunta di quest’ultimo fece la sua apparizione a partire dalla seconda edizione, sempre veneziana, del 1593. Il Mastro di casa fu aggiunto per la prima volta nella presente edizione romana, che, essendo la più completa e la più corretta dal punto di vista testuale, è servita da modello alle successive edizioni. Il Trinciante, insieme alle sue due appendici, fu in seguito più volte ristampato in calce all’Opera di Bartolomeo Scappi (Venezia, 1605, 1610, 1622, 1643).

Nell’ambito del banchetto principesco italiano del Cinquecento, in particolare a Roma e dietro l’influenza della cultura spagnola, figura di spicco della tavola, a fianco dello scalco e del bottigliere (o coppiere), era il trinciante.

A differenza di questi ultimi, costretti a seguire i tempi del loro servizio e ad allontanarsi per questo dalla tavola, il trinciante, per la prossimità con i convitati e la teatralità dei suoi gesti, che prevedevano il taglio in aria delle pietanze, la loro messa nei piatti e l’assaggio dei sughi, rivestiva un ruolo particolare e godeva di alcuni privilegi, tra cui quello di poter mangiare le vivande avanzate dopo il servizio dei signori. Egli era in sostanza l’epicentro del rito conviviale e, come tale, attraverso ogni suo gesto egli doveva saper esprimere competenza e teatralità, ma senza mai eccedere in acrobatismi gratuiti o caricaturali.

Nel trattato Cervio descrive tutto questo, dalla scelta e dalla cura dei materiali (forchettoni, coltelli, ecc.) alla postura e al comportamento del trinciante, dal diverso taglio di ogni pietanza (animali da piuma, quadrupedi, pesci, uova, frutta e verdura) alle modalità dell’impiattare.

Nell’Aggiunta Fusoritto accenna a un’innovazione che riguarda la struttura di forchettoni e coltelli, ossia l’introduzione di manici d’osso o d’avorio (mentre ai tempi del Cervio essi erano forgiati in un unico pezzo di ferro), e descrive i banchetti principeschi cui attese nella sua carriera.

Nel Mastro di casa, scritto in forma di dialogo fra l’autore e un certo Cesare Pandini, che sembrerebbe essere il vero nome dello stesso Fusoritto, questi rivolge la propria attenzione ad una nuova figura, quella del maggiordomo, che, coadiuvato dal computista e dal mastro di casa, diventa nella sua visione il nuovo elemento centrale del banchetto, al quale scalco, trinciante e coppiere sono subordinati. Viene così a istituirsi un ordine gerarchico, al quale corrispondono proporzionalmente le retribuzioni e le spettanze dell’uso medio: al maggiordomo una somma a discrezione del signore, al maestro di casa cento scudi all’anno, allo scalco lo stesso compenso, al computista da cinque a sei scudi al mese, al trinciante cinque scudi al mese, al cuoco tre scudi al mese con aiutante e garzone, ecc.

Come indicato nella dedicatoria del suo trattato, che uscì probabilmente postumo, Vincenzo Cervio fu al servizio a Roma, in qualità di trinciante, del cardinale Alessandro Farnese, celebre già all’epoca per il fasto dei banchetti e delle feste che amava organizzare presso il suo palazzo. Sempre dall’opera si deduce che egli fu di umili natali, che in gioventù prestò servizio alla corte di Urbino presso il duca Guidobaldo II e che compì numerosi viaggi al seguito del cardinale.

Reale Fusoritto successe al Cervio, del quale fu allievo, al servizio del cardinale Farnese; quindi in un secondo momento lavorò presso la corte di Alessandro Peretti, cardinale di Montalto.

 

Descrizione fisica. Tre parti in un volume in 4to di pp. (8), 162, (2). Con 2 tavole in legno fuori testo più volte ripiegate e 4 xilografie nel testo a piena pagina. Le pagine 139/140 sono bianche. Marca tipografica sui titoli ed in fine.

F. Govi, I classici che hanno fatto l'Italia, Milano, Regnani, 2010






Torna indietro
TOP