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Alberto Vigevani - Einaudi bibliofilo e quasi libraio

Data 01/12/2020       Categoria Articoli e pubblicazioni
Autore Admin

Alberto Vigevani - Einaudi bibliofilo e quasi libraio

Di Luigi Einaudi ho un ricordo che dura nel tempo e direi si accresce, anche perché con gli anni e il mutare della società, la sua figura si apparenta ad altre – come quella di mio padre – per le virtù borghesi di cui fu campione esemplare, con le sue solide radici nel vecchio Piemonte. E a me piaceva proprio la oggi purtroppo obsoleta figura di ‘borghese’, termine non da intendersi nell’accezione deteriore – ereditata dalla bohème artistica ottocentesca da fascisti e marxisti – ma in quella di ‘costruttore’ operoso, provvisto di una rigida moralità imprenditoriale e soprattutto famigliare.

Non per niente il primo libro di Einaudi tratteggiò la personalita e la vita avventurosa di un ostinato e fortunato imprenditore italiano emigrato in America, Dell’Acqua. Sono persuaso che, non avesse avuto straordinario ingegno e la ventura d’essere divenuto, lui monarchico, presidente della Repubblica e, nella sua materia, scienziato di primissimo piano, avrebbe fatto a tempo pieno e non solo per hobby l’agricoltore (a parlare della sua terra di Dogliani s’illuminava, come a parlare dei suoi libri) o – e questa è la cosa che a lui mi avvicinò di più – il libraio antiquario. Non pochi dei suoi illustri contemporanei furono bibliofili, ma nessuno come lui unì all’amore per i libri il minuzioso puntiglio – quasi la mania – di apprezzarli anche fisicamente (nella carta, nelle legature, nelle qualità e nei difetti), di schedarli scandagliandone ogni riposto pregio e provenienza, oltre che il contenuto, con in più la caparbia volontà di ottenerli alle migliori condizioni (e questo lo portò talora a sbagliare, comperando, in ragione del basso prezzo, esemplari scadenti), e, quando fossero divenuti suoi, di valutarli, in eventuali cambi, al prezzo massimo.

Un comportamento, insomma, piuttosto raro, quello che unisce insieme passione, cultura e accortezza economica, caratteristico, ancora, del vero libraio antiquario, o dell’antiquario tout court. E se l’agricoltore riuscì a farlo nei ritagli di tempo, con ottimi risultati (si pensi al suo prelibato Dolcetto), ebbe pure velleità di esercitarsi, oltre che alle pazienti indagini bibliografiche, in cui l’aiutava il puntiglio di studioso, alle sottili schermaglie, insieme dialettiche e bizantine, dell’antiquario per vocazione. Velleità di cui trovavo traccia nei suoi discorsi come ne trovo nelle sue lettere, che conservo e forse un giorno mi deciderò a pubblicare, benché il loro interesse sia circoscritto al campo dei libri antichi o rari che trattano di discipline economiche, e cioè a momenti della sua passione, il cui finale, e direi monumentale risultato, si può ora ammirare negli scaffali che fasciano le pareti della fondazione a lui intitolata a Dogliani. Sempre profferendo alti e sofferti lamenti (e anche stampandoli, come nei suoi Saggi bibliografici o storici intorno alle dottrine economiche, pp. 215-6) riguardo i miei prezzi, aveva per me e mio fratello Enrico parole di stima. Ma stima e simpatia finivano sempre, anche nelle lettere, in amari commenti circa i prezzi dei nostri cataloghi, su cui i suoi colleghi e competitori compravano a gara, da Alfred Sauvy a Keynes, da Raffaele Mattioli a Sraffa e alla maggior biblioteca del mondo della materia, la bostoniana Kress Library.

Il fatto è che Einaudi cominciò a nutrire passione per i libri molto presto e a comprarne sul finire dell’Ottocento, quando i librai davano valore soprattutto alle edizioni principi dei classici e degli umanisti, alle prime stampe, a quelle di Aldo, di Bodoni, del Settecento francese. I libri di economia, disciplina di cui del resto ignoravano anche la storia, li buttavano via per pochi soldi o li svendevano in blocco alle bancarelle – su cui Einaudi ‘pescava’ in un raptus felice. Vederli ora valutati a giusto prezzo, in un mercato e in un mondo in cui l’economia veniva nobilitata a scienza fondamentale, lo irritava, se non li possedeva e avrebbe voluto acquistarli, mentre lo compiaceva se già li possedeva: apparente contraddizione tipica di ogni collezionista e distorsione professionale di tutti i librai. Decifro a fatica, nell’impossibile e contorta grafia einaudiana: ?Il prezzo dei [suoi] libri è a un livello alto. L’altezza non è un concetto assoluto; e quindi l’‘alto’ non si riferisce ai bibliofili appartenenti al ceto dei provveduti? (quasi lui, essendo allora ex governatore della Banca d’Italia e presidente della Repubblica, appartenesse al ceto degli ‘sprovveduti’). ?Un banchiere? continuava ?un ricco signore, può acquistare a quei prezzi?. E qui avrebbe dovuto, come vivace assertore del liberismo, darmi ragione, poiché mi affidavo alle valutazioni del mercato internazionale. Invece voleva insistere: ?Prezzi che mi paiono adatti più che ad acquisti per contanti a eventuali proposte di cambi... convenienti ad ambedue?.

Fa capolino, in questo che è un chiaro invito, il libraio antiquario che Einaudi racchiudeva in petto, forse in perpetuo dialogo con il bibliofilo. Per il rarissimo Cantillon, che gioisce di possedere, trova il prezzo, oltre che ?feroce?, ?fantastico?. E incalzava, con garbata ironia: ?Non prevedevo che il Custodi completo di 50 volumi giungesse [nel 1958] a 350 mila. La prima copia la acquistai nel secolo scorso a 25 lire?. Ribattei facendogli osservare che lo aveva pagato di più, in moneta reale, perché alla fine dell’Ottocento un impiegato statale di medio grado percepiva appena il doppio, o pressappoco, di quella cifra. In questi casi, in cui era a malincuore costretto a darmi ragione, sorvolava, o sorrideva con i suoi piccoli occhi di un raro azzurro, sprizzanti intelligenza e malizia, facendo intendere che aveva voluto prendermi in giro, o mettermi, come si dice, ‘nel sacco’; ma godeva anche a prendere in giro sé stesso, vedendo contrastata, e con ragione, la manovra che aveva per fine quello di sopraffare l’interlocutore. Insomma era, come in tutte le cose, un galantuomo che, anche nella schermaglia, si dichiarava ‘toccato’ se l''a fondo' colpiva giusto. Nel '60, non più presidente, mi alletta descrivendomi un armadio di ?dodici metri lineari? pieno di doppi acquistati ?per errore di memoria?, e mettendoli a mia disposizione per eventuali cambi o vendite. E ancora, ripeto, non nasconde, pur nel dispetto di non volere o potere acquistare, la soddisfazione di veder valutato il proprio patrimonio librario. ?Ogni volta che ricevo il suo catalogo mi sembra di essere arricchito?. E nel frattempo aveva fatto, senza dirmelo, un vero ‘colpo’ da antiquario, acquistando l’intera biblioteca (e non soltanto i libri di suo interesse) dei marchesi Lovera, tra cui begli esemplari di stampe del Bodoni, che apprezzava anche perché piemontese. In verità di cambi con lui ne feci assai pochi, e quei pochi più per riguardo alla sua persona che per interesse, poiché ne uscivo sempre perdente. Valga, come esempio, quel che mi capitò col raro poema di Sigismondo Chigi (il principe mecenate a cui il Monti dedicò gli Sciolti e il Milizia i Principi di architettura) intitolato Dell’economia naturale e politica, Parigi, Valade, 1781. Avevo due copie della sola prima parte, una la diedi a Luigi Dal Pane, l’altra la proposi a Einaudi, senza fargli un prezzo poiché non l’avevo nemmeno un po’ studiata (né altri l’avevano fatto). Einaudi se la fece inviare e la studiò lui, certo meglio di quanto avrei potuto io, ma invece di chiedere il prezzo, trattenne il volume, inviandomi, come ?adeguato cambio?, cosi si esprimeva, la fotocopia della seconda parte, eseguita dal laboratorio fotografico del Ministero della Marina. Non protestai, anche perché mi piacque conservare la scheda perfetta da lui stilata con la consueta chiarezza (di discorso, non di grafia), testimonianza del mio destino di perdente nel nostro mercanteggiare da buoni ‘borghesi’. Il tutto a riprova si di un affare mancato, ma anche di un cordiale rapporto e soprattutto dell’ottocentesca parsimonia che per un uomo politico di oggi, avvezzo a profondere denaro dello Stato in personali vantaggi, parrebbe inverosimile.

Sono contento che gli sia stato risparmiato di vedere che, qualche anno fa, ?non tornavano i conti? (quello di farli tornare era stato il programma ideale di tutta la sua vita) nella casa editrice che pure tanto egregiamente testimonia di mezzo secolo della nostra cultura e tramanderà, se la carta che usiamo reggerà all’usura del tempo, insieme con la sua opera di economista e di limpido scrittore, il suo nome.

Alberto Vigevani
La febbre dei libri
Memorie di un libraio bibliofilo
Sellerio editore - Palermo




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