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Risposta del Presidente A.L.A.I. al recente articolo di Repubblica dedicato ai furti di libri antichi

Data 01/12/2020       Categoria Articoli e pubblicazioni
Autore Admin

Risposta del Presidente A.L.A.I. al recente articolo di Repubblica dedicato ai furti di libri antichi

Con riferimento al lungo e discutibile articolo/inchiesta di Conchita Sannino uscito su Repubblica del 02/11/2012 e dedicato agli episodi di furti di libri antichi e più in generale al nostro mondo, vi trasmettiamo la risposta del Presidente ALAI Fabrizio Govi:

Gentile Dott.ssa Sannino,
io capisco perfettamente le esigenze del giornalismo e quindi l'abilità che si richiede a voi giornalisti di rendere una notizia 'succulenta' anche per il lettore che non si interessa di quella determinata questione. Apprezzo anche il fatto che non abbia voluto legare il nome dell'ALAI ai frequenti casi di furto che si verificano in Italia ma, mi spiace dirlo, il taglio del suo articolo è assolutamente fuorviante. La richiesta di collaborazione che le ho proposto, è quindi determinata dal preciso dovere di raccogliere informazioni precise sulla realtà del commercio librario.

Anche se non mi permetto certo di discutere i dati sui furti che le avrà sicuramente comunicato l'ottimo col. Mancino, con cui abbiamo attivamente collaborato prima e dopo l'arresto di De Caro, non credo proprio che l'aumento degli stessi sia da imputare al fatto che rubare beni librari costituisca, come lei sostiene, un ottimo business.

Il mercato dei libri antichi è fatto al 90% di opere del valore di poche centinaia di euro, che si vendono per di più con estrema difficoltà. Quando si verificano furti di libri di questo genere, che penso rappresentino il 90% dei casi censiti, anche qualora esistano delle denuncie e degli elenchi (cosa non sempre vera, purtroppo), noi come antiquari possiamo fare ben poco. Siamo i primi ad essere danneggiati dalla cattiva gestione delle nostre biblioteche. Consideri che qualora non esistano timbri, presenti o rimossi, nessun libraio ha delle valide ragioni per insospettirsi se gli vengono offerte opere di esiguo valore, di cui esistono numerose altre copie offerte sul mercato in quello stesso momento. Il fatto che il libro sia un multiplo, rende inoltre inutile, sempre nel caso di opere di valore esiguo (che ripeto costituiscono gran parte dei casi di furti che lei segnala), anche la consultazione del database dei Carabinieri del TPC, cui noi abbiamo accesso, perché senza una descrizione precisa dell'esemplare, ritrovare nel database un certo libro, di cui come le dicevo esistono magari altri dieci esemplari in vendita su internet in quel dato momento, non costituisce in nessun modo una prova significativa.

Diverso è il caso di opere di grande valore. Ma posso dirle che anche in questo caso il furto risulta molto complicato e poco vantaggioso, perché di fronte a opere di reale pregio le antenne del libraio si drizzano e vengono fatte subito tutte le verifiche del caso, con la conseguenza che diventa impossibile piazzare quelle opere sul mercato. In questo senso l'ALAI è riuscita a recuperare, solo per farle un paio di esempi, alcuni incunaboli trafugati dalla Biblioteca del Seminario di Modena ed una preziosa legatura rubata dall'Accademia dei Lincei, la quale era censita nella nota opera sulle legature italiane redatta da un librario antiquario del primo Novecento, Tammato de Marinis. In quei casi, senza che neppure esistesse una denuncia, l'ALAI aiutò anche ad arrestare i colpevoli.

Rubare in sostanza non conviene, sia perché il mercato è molto controllato ed è molto meno ricco di quello che non si voglia far apparire un po' superficialmente (e questo discorso valeva anche prima della crisi), sia perché non è affatto vero che i libri, anche quelli più rari e preziosi, si vendano facilmente. Io so che De Caro, prima di metterle in asta con riserve molto modeste (una sorta di ultima spiaggia per chi non è riuscito a vendere certe cose al prezzo desiderato), ha cercato di piazzare in Francia la prima e la seconda edizione del De revolutionibus orbium coelestium di Copernico senza riuscirvi; e questo più perché i due volumi erano in cattive condizioni e le cifre richieste troppo alte, che per sospetti sulla provenienza, che forse pure c'erano, ma non avevano ancora motivo di esserci, non esistendo ancora nessuna accusa di furto a suo carico. La prima edizione del De revolutionibus è stata recentemente venduta ad oltre un milione di dollari, ma un'altra copia offerta poco sopra quella cifra è rimasta per molti anni negli scaffali di un libraio americano senza che nessuno la richiedesse. E' poi probabile che la copia trafugata da De Caro, se fosse stata battuta in asta, sarebbe andata invenduta o avrebbe realizzato una cifra ben più modesta.

Le racconto un altro piccolo aneddoto significativo. Lei pensi che qualche anno addietro mi è stato pagato un libro con un assegno risultato poi rubato. Alcuni giorni dopo l'accaduto, prima ancora che la banca me lo segnalasse, un collega di Milano mi telefonò per dirmi che un tizio sospetto si era presentato da loro per vendergli un libro del Cinquecento abbastanza raro (si trattava del primo dizionario ebraico-italiano-latino mai pubblicato), che loro ricordavano di aver visto in un mio catalogo di alcuni anni prima. Il libro era stato da me ceduto a 2500 euro. Il truffatore si era accontentato di 300 euro, cifra che io ho prontamente rimborsato al solerte collega, riavendo indietro il mio libro, che in ultimo sono riuscito a vendere solo molti anni dopo ad una cifra piuttosto modesta.

Anche nel caso del celebre furto della Biblioteca di Mantova, altro episodio di incredibile incuria, i librai sono rimasti vittima delle circostanze e il furto si è dimostrato poco proficuo. Nel corso di alcuni anni un operaio incaricato di compiere certi lavori all'interno della biblioteca, accortosi della facilità con cui poteva attuare il suo piano, sottrasse decine di volumi di modesto valore (tra le poche centinaia e le poche migliaia di euro), andandole poi a rivendere in giro per l'Italia ad antiquari ignari, ai quali rilasciava regolari ricevute e fotocopia del documento d'identità, come prescritto dal codice TULPS. Ora, dopo la denuncia del furto, l'Associazione provvide ad informare tutti i soci, i quali prontamente restituirono i libri acquistati (a volte dovendo faticosamente ricostruire i vari passaggi che i libri avevano compiuto dopo essere stati venduti), rimettendoci ovviamente tutti i soldi. Una volta restituiti i libri, i Carabinieri li riportarono a Mantova. Qui, in attesa di essere risistemati, fuorno alloggiati in uno scantinato, dove, complice la malasorte, finirono alluvionati. Io quindi, che fui incaricato in un primo momento di periziare i volumi rubati, dovetti successivamente calcolare anche i danni da acqua subiti dai volumi. Uno dei tanti casi di incuria quotidiana delle nostre biblioteche.

I miti che emergono nel suo articolo, cui facevo riferimento nell'email di ieri, sono da un lato che rubare libri antichi sia conveniente (cosa che mi sembra averle dimostrato non essere vera), dall'altra che il nostro sia un mercato dove girano chissà quali ricchezze. La crisi e, limitatamente all'Italia, una legislazione in materia di tutela che non permette di fare quasi nulla (ma questo è un altro capitolo, su cui se vuole torneremo in un'altra circostanza) stanno mettendo in ginocchio il nostro mercato. Molte librerie hanno già chiuso e molte altre probabilmente chiuderanno nei prossimi anni. Per chi come noi ha in magazzino volumi (tra essi anche quelli che voi pomposamente definite 'rarissime cinquecentine ed opere inestimabili') che non riesce a vendere da 10 anni, sentirsi dire che i libri si venderebbero come il pane e che esisterebbero fantomatici acquirenti russi e giapponesi pronti a tutto per averli, fa veramente sorridere. Io sono in contatto con l'associazione russa (un'associazione appena nata che sta faticosamente cercando di internazionalizzarsi e darsi una regolamentazione seria) e so da loro che in Russia, dove è illecito esportare qualsiasi opera antica, esiste un mercato molto chiuso, nel quale i libri russi si vendono (se si vendono) a delle cifre molto inferiori a quelle richieste per gli stessi libri sul mercato internazionale. Il Giappone, poi, non è più un referente significativo nel mondo del libro antico da molti anni. Pensare che grandi magnati russi siano così interessati ai libri antichi, invece che allo champagne e alle auto di lusso, da condizionare il mercato mondiale fa abbastanza sorridere. Nessuno di noi ne ha mai visto uno ad una fiera o ad un'asta. Stiamo vivendo una crisi culturale spaventosa, nella quale il libro si sta rapidamente trasformando in un oggetto quasi desueto e fuori moda, e voi realmente pensate che questa gente si interessi di opere in latino del Cinquecento italiano? Vorrei ricordarle per inciso che il collezionismo librario è un collezionismo colto che presuppone conoscenza e prospettiva storica; senza di esse, sarebbe difficile poter acquistare certe opere, magari anche molto costose, che hanno un'apparenza piuttosto modesta e che suscitano ammirazione solo in chi ne comprende a fondo il contenuto e la rarità. Il collezionismo librario è a questo riguardo molto distante da quello dell'arte e dell'antiquariato tout court, che per altro è anch'esso in una crisi nerissima, forse ancor peggiore.

Il caso Girolamini è poi un caso a parte, più emblematico del livello di degrado delle istituzioni italiane, che non del presunto vantaggio di vendere e piazzare sul mercato libri rubati. De Caro, grande mistificatore e abilissimo manipolatore, cominciò la sua attività come libraio, riuscendo con un escamotage (divenne socio di una libreria argentina che chiese di affiliarsi all'ALAI come membro straniero) ad infiltrarsi anche nella nostra Associazione, che tuttavia dopo qualche tempo ne chiese ed ottenne le dimissioni. Già da alcuni anni infatti erano giunti segnali molto negativi su di lui, sia per la sua attività di falsario, sia per il suo comportamento scorretto e, a volte, persino intimidatorio di fronte alle richieste di pagamento. Un nostro socio, cui il De Caro non voleva saldare una fattura, ignorando le minacce di quest'ultimo, gli fece causa, riuscendo a vincere e facendogli pignorare la casa di Verona. Nel 2010, mentre come presidente dell'Associazione ero impegnato nell'organizzazione della fiera che ogni anno l'ALAI organizza a Bologna insieme a Noema in occasione di Artelibro, ricevetti una lettera su carta intestata del Ministero, in cui la segretaria di De Caro, allora consulente personale del Ministro Galan, richiedeva di poter visitare la fiera durante l'allestimento, prima dell'apertura ufficiale. Di fronte al mio diniego (pur non avendolo mai conosciuto personalmente, sapevo che persona era e, soprattutto, che doveva molti soldi a vari colleghi), andò su tutte le furie e mi disse che lui sarebbe comunque entrato alla fiera quando voleva e che si sarebbe fatto scortare dai Carabinieri.

Prima ancora della notizia del suo arresto, tutti noi librai, dopo aver ricevuto come d'abitudine il catalogo primaverile della casa d'aste di Monaco di Baviera Zisska und Schauer, ci accorgemmo della presenza di libri preziosi di molto dubbia provenienza. Io ne feci pronta menzione al gen. Muggeo, allora comandante del TPC, che ne era già al corrente. Verificando il numero identificativo dei venditori, che è sempre indicato nei cataloghi d'asta, un gruppo significativo di libri di grande pregio presenti nel suddetto catalogo risultava di proprietà di due soli venditori. Noi tutti arrivammo subito alla conclusione che si trattasse di libri trafugati da De Caro (ribadisco che la denuncia a suo carico non era ancora scattata). L'episodio testimonia ancora una volta che rubare libri non è redditizio.

Dopo la notizia dell'arresto, accolta con grande soddisfazione da noi tutti, il mercato internazionale è stato prontamente allertato da me e dall'allora presidente dell'ILAB Arnoud Gerits e, in particolare, è stato richiesto ai soci di valutare attentamente gli acquisti più recenti di libri italiani dal XV al XVII secolo. Da allora, l'ALAI insieme all'ILAB, sta vigilando con grande attenzione. In questa occasione, come del resto anche in passato per vicende simili - per esempio il furto presso la Biblioteca di Mantova cui facevo riferimento in precedenza - c'è un filo diretto con i Carabinieri del Nucleo Tutela del Patrimonio, in particolare con il Colonnello Raffaele Mancino.

La vicenda pone però tristemente l'accento sul problema della conservazione e della salvaguardia del patrimonio librario del nostro Paese. L'assenza di timbri e di controlli specifici favorisce la circolazione dei volumi e la loro parziale dispersione: della Biblioteca dei Gerolamini non esiste a tutt'oggi neppure un elenco dei libri rubati o comunque, se esiste, non è mai stato diffuso. La situazione delle biblioteche ecclesiastiche è poi veramente disastrosa. In seguito ad accordi che risalgono al 1929, la Santa Sede e la Repubblica Italiana si sono impegnate 'nel rispettivo ordine' a collaborare 'per la tutela del patrimonio storico e artistico', concordando 'opportune disposizioni per la salvaguardia, la valorizzazione e il godimento dei beni culturali d'interesse religioso appartenenti a enti e istituzioni ecclesiastiche'. Troppo spesso tuttavia tali enti paiono non essere in grado di assicurare una tutela adeguata. Sovente i conservatori, per carenza di personale, di fondi e di adeguati controlli, non timbrano i volumi, non si accorgono del furto e non lo denunciano. Non è certo un caso che De Caro sia stato nominato, senza aver nessun requisito, direttore di una biblioteca ecclesiastica, dove per di più non è neppur necessario passare attraverso un concorso pubblico.

Siamo qui di fronte ad un paese in cui un personaggio come De Caro, che le ripeto era stato allontanato dall'ALAI già da molti anni, viene nominato consulente particolare di ben due Ministri dei Beni Culturali, prima di Giancarlo Galan, quindi, sopravvivendo alla caduta del governo Berlusconi nel novembre scorso, del successore Lorenzo Ornaghi; viene poi messo a capo di una biblioteca storica come quella dei Gerolamini, che vale la pena ricordarlo versava da anni in una condizione di totale abbandono, e, sfruttando la sua posizione e le sue protezioni, ruba sistematicamente libri dal Seminario di Padova, dall'Abbazia di Montecassino, dalla Capitolare di Verona, dalla Nazionale di Napoli, sostituendo i libri originali con facsimili da lui eseguiti con grande maestria. Piazza inoltre o tenta di piazzare sul mercato americano non solo gli originali trafugati, ma anche alcuni facsimili che giungono ad ingannare anche illustri studiosi, prima di essere smascherati definitivamente.

Venendo poi alle cifre che lei menziona nel suo articolo, sono all'occhio di un esperto del tutto prive di qualsiasi fondamento. Dire che una pagina di un libro raro vale 5000 euro, è come dire che una gamba di un calciatore qualsiasi vale 100.000 euro. Di quale pagina stiamo parlando, di quale libro e di quale esemplare di quel libro? Se intendiamo la pagina di un codice manoscritto, di quale codice parliamo? Si tratta di una pagina miniata o meno? Si tratta di un miniatore importante o di uno dei tanti minori? Cosa significa poi 12.000 euro per un Aristotele o 30.000 per una Cronica di Norimberga? Le posso trovare decine di Aristotele del Cinquecento a poche centinaia di euro che nessuno vuole. Della Cronica di Norimberga, libro bellissimo, ma comunissimo in commercio, tutti gli anni vengono offerte sul mercato varie copie più o meno ben conservate (colorate o in b/n, complete o scomplete), i cui prezzi variano da 25.000 a 150.000 euro o anche più. Lo stesso discorso vale per Keplero: di che Keplero stiamo parlando, quale opera, quale edizione, quale esemplare?

Quanto al Breviario di Santa Chiara, il libro secondo lei più ricercato (non so bene da chi), se fosse messo lecitamente sul mercato farebbe penso più di quello che lei indica. Ma di fatto non ha nessun mercato.

Parlare di libri antichi richiede grande competenza. Non si diventa librai seri e qualificati prima di un tirocinio sul campo che dura molti anni. Per questo le ho rivolto l'invito a rivolgersi a noi prima di trattare dell'argomento.

Come le ricordavo ieri, il commercio del libro antico e di seconda mano ha una tradizione secolare e in esso l'Italia ha svolto un ruolo storico di primo piano. Basti osservare che il libro a stampa (lasciamo da parte in questa sede ogni riferimento al mercato del libro nel mondo antico e in età medievale, ma lo stesso discorso si potrebbe applicare agevolmente anche al commercio del manoscritto) è ed è sempre stato un bene commerciale. Già a partire dal Quattrocento le neonate officine tipografiche costituiscono delle vere e proprie imprese commerciali, i cui direttori, i tipografi, cercano di interpretare le esigenze del mercato e decidono di conseguenza i testi da stampare e le tirature. Il collezionismo librario, più limitato socialmente prima dell'invenzione della stampa a causa dell'alto costo dei codici manoscritti, si allarga velocemente a larghi strati della popolazione man mano che i costi di produzione del libro si vanno sempre più abbassando. Già alla fine del Cinquecento sono attestate aste pubbliche di incunaboli. Grandi biblioteche private (agli albori della stampa tutte le biblioteche possono sostanzialmente dirsi private) si formano dietro l'intraprendenza e la passione di qualche collezionista; alcune di esse formano o confluiscono in biblioteche divenute nel frattempo pubbliche; molte altre invece andranno disperse o saranno vendute all'asta.

Niccolò V, considerato il fondatore della Biblioteca Vaticana, sarebbe probabilmente finito in bancarotta, se non fosse stato nominato papa, potendo così finanziare i propri acquisti presso il libraio Vespasiano da Bisticci con i soldi delle casse apostoliche. Dopo la morte di Gian Vincenzo Pinelli (1601), la straordinaria biblioteca che questi aveva formato, venne smembrata. Una parte rimase a Padova nelle mani della famiglia fino al 1789, quando, dopo la morte dell'ultimo possessore Maffeo Pinelli, fu venduta all'asta a Londra; un'altra parte (quella dei documenti riservati e dei manoscritti) finì alla Biblioteca Marciana. Una terza parte venne spedita da Genova a Napoli con tre navi. Lungo il tragitto una di queste venne assalita dai pirati, che ne dispersero il contenuto. Il resto rimase a lungo dentro delle casse nel porto di Napoli, finché non venne acquistato da Federico Borromeo per la sua biblioteca. La storia delle grandi collezioni librarie francesi (la Francia erediterà il testimone della bibliofilia dall'Italia verso la metà del 1500) è fatta di grandi accumuli e di altrettanto grandi vendite già a partire dal Seicento (la biblioteca di Mazzarino finirà all'asta addirittura due volte).

Gli Olandesi poi ereditano dal mondo arabo-spagnolo e sviluppano quel tipo particolare di vendita, che è l'asta pubblica. Già a fine Cinquecento sono attestate aste di libri nei Paesi Bassi ed è notorio che le matrici in rame delle carte geografiche di Gherardo Mercatore furono acquistate in asta, alla morte di quest'ultimo, dall'editore di Amsterdam Jodocus Hondius, che ne trarrà un Atlante destinato a diventare un bestseller internazionale.

Le ho fatto questi pochi esempi solo per darle un'idea della portata storico-geografica del fenomeno.

All'indomani della Seconda Guerra Mondiale, fu fondata da vari librai antiquari, tra cui Cesare Olschki, figlio del grande Leo, l'ALAI (Associazione librai antiquari d'Italia), che da allora rappresenta l'unica associazione nazionale di categoria. L'ALAI fa inoltre parte di un'organizzazione sovrannazionale, chiamata ILAB (International league of antiquarian booksellers), alla quale fanno capo circa 30 associazioni nazionali di ogni parte del mondo, a testimonianza dell'ampiezza internazionale del mercato librario.

L'ALAI, che conta circa 130 membri, si è impegnata da tempo ad intraprendere una politica di trasparenza nel commercio e di collaborazione con le istituzioni nella tutela del patrimonio librario nazionale. I librai hanno un ruolo tanto importante, quanto poco riconosciuto, ossia quello di salvare dall'oblio e dalla deperibilità migliaia di volumi, grazie alle loro ricerche ed ai restauri commissionati; quello di recuperare, reimportando in Italia migliaia di volumi, e di incrementare i fondi storici delle nostre biblioteche; nonché quello di formare, prima smembrando, poi ricostituendo in forme diverse, più o meno importanti raccolte private, destinate a volte a diventare biblioteche pubbliche. Infine, grazie alle migliaia di dettagliate schede bibliografiche che i librai dell'ALAI pubblicano ogni anno, contribuiamo a lasciare una traccia documentale di notevole valore per la tutela.

Le chiedo scusa se mi sono dilungato troppo, ma la materia è vasta e i temi complessi. Parlando con superficialità di commercio del libro antico, si causano gravi danni ad un mercato già agonizzante per la duplice crisi economica e culturale e si finisce inevitabilmente per fare di ogni erba un fascio e dare al lettore un'idea fuorviante di quello che è il reale mondo del libro antico. De Caro è una meteora che speriamo passi il più velocemente possibile, ma è sicuramente errato tratte conclusioni generali dai misfatti e dalla presenza, per quanto eccezionalmente ingombrante, di questa persona.

Cordiali saluti,
Fabrizio Govi




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